Capricci

Capricci bambini 1 anno: come gestirli

Durante il pranzo, il tuo bambino (o la tua bambina) gioca con il cucchiaio e lo sbatte forte sul piatto. Non lo vuole usare per mangiare, anche se inizia ad esserne capace; preferisce mangiare con le mani. Non gli piace nemmeno stare seduto nel seggiolone perché è più felice gironzolando per la stanza.
Allora inizia a piangere e strillare, sputacchiando il cibo addosso a te finché non lo fai scendere. Tuttavia, quando è libero di muoversi per la cucina inizia a correre in giro senza lasciarsi imboccare.
Tu non ne puoi più e inizi ad arrabbiarti con lui, rimproverandolo per il suo comportamento. Il bambino, però, non ti ascolta e continua a toccare tutte le cose.
Quante volte succedono queste cose, vero? Sembra molto complicato contenere i capricci di bambini di 1 anno e aiutarli a fare ciò di cui avrebbero bisogno; ma vediamo di ragionare su come sia possibile venirne fuori. 

  1. Capricci bambini 1 anno: com’è il bambino a questa età
  2. Gestire un bambino è un compito facile… se uno non sa cosa sia un bambino
  3. Come gestire i capricci di un bambino di 1 anno

1. Capricci bambini 1 anno: com’è il bambino a questa età

Prima di capire che senso abbia parlare di capricci in bambini di 1 anno, bisogna conoscere ciò che un bambino è in grado o non è in grado di fare a questa età.

Iniziamo col dire che verso l’anno di età il bambino comincia a camminare e sperimenta una maggiore indipendenza; infatti, si muove per la casa in autonomia e può accedere a tutti gli oggetti alla sua portata.

Questo significa che può romperli e che può anche farsi del male, qualora siano pericolosi. Se rompe qualcosa gli va spiegato che è improprio e pericoloso, ma non gli si può fare una colpa. Se il vaso e alla sua portata, l’errore è nostro che lo abbiamo lasciato la, non suo.

Perciò la prima cosa che bisogna fare quando il bambino si muove da solo nella stanza è togliere le cose pericolose dalla sua portata: soprammobili delicati, vasi, oggetti pesanti. Inoltre, vanno protetti gli spigoli e le asperità che potrebbero ferire il bambino.

In secondo luogo, il bambino di un anno non parla ancora, perciò si esprime a gesti per farsi comprendere e per indicare gli oggetti che lo attraggono. Quando non riesce a farsi comprendere, non ha altra forma di comunicazione che piangere per esternare il proprio dissenso.

Anche in questo caso, il più delle volte non è colpa sua se non capiamo ciò che ci comunica, ma nostra. Siamo noi a doverci prodigare in ogni modo possibile per farci comprendere da lui e per interpretare il suo pensiero; se non ce la facciamo è inutile arrabbiarsi con lui.

Con il passare del tempo, ci accorgiamo che lui inizia a voler fare da solo molte cose, anche se le fa ovviamente a modo suo: bere, mangiare, vestirsi, ecc.

Come riuscirai a renderti conto facilmente, il bambino riesce finalmente ad agire sul proprio ambiente come non riusciva a fare prima; questa capacità lo entusiasma molto, perché non dipende più da una persona per farlo.

L’indipendenza porta con sé la possibilità di scegliere; questo significa che le idee che esprime (voglia di giocare) possono essere diverse dai bisogni che mamma e papà rilevano per lui (necessità di mangiare).

La questione si complica per il fatto che il piccolo non parla; perciò non è in grado né di spiegare le sue ragioni, né di controllare il proprio pensiero come farà quando il linguaggio si sarà sviluppato adeguatamente.

Ad un anno, quindi, il pianto è l’unico strumento di cui dispone per cercare di esercitare un certo autocontrollo. Al tempo stesso, il pianto rappresenta anche una richiesta di aiuto, perché esprime lo sconforto del bambino per l’incapacità fare/dire ciò che ha in mente.
Se ti stai chiedendo come mettere insieme tutti i pezzi per riuscire a gestire il tuo bambino, ora te lo spiego.

2. Gestire un bambino è un compito facile… se uno non sa cosa sia un bambino

Partiamo dall’inizio. Dodici mesi fa sei salito su un aeroplano, sei entrato nella cabina di pilotaggio e hai assunto i comandi di un jet.

Ora hai il compito di portarlo a destinazione, con tutto il suo equipaggio. Di fronte a te hai una console con un sacco di tasti e di luci, ma non sai da che parte girarti. Con un bambino piccolo, questa è la situazione in cui ti puoi trovare, cioè un compito per nulla semplice.

Non lo dico affatto perché ti voglio spaventare. Lo faccio solo per darti un’idea della dimensione del problema; affinché tu sappia che la difficoltà che incontri nel trovare le risposte giuste a tutte le domande che ti passano per la testa, non dipende da una tua incapacità ma dalla complessità del ruolo che ricopri.

Molti pensano che accudire un bambino sia un’attività semplice, specialmente uno di pochi mesi. Lo pensava anche il nostro legislatore fino a poco fa. Solo ora, infatti, inizia ad essere obbligatoria la laurea per lavorare al nido d’infanzia come educatore, benché la difficoltà a gestire un percorso educativo e didattico con bambini così piccoli sia incommensurabilmente più elevata che gestire la didattica all’università.

Un ragazzo parla, comprende e interagisce con le stesse modalità del docente. Invece un bambino di scuola dell’infanzia o, a maggior ragione, del nido, non possiede le stesse competenze. Per poter interagire efficacemente con lui, l’insegnante/educatore deve immaginare ciò che passa per la mente del bambino. A questo scopo servono competenze e capacità notevoli.

Ecco, quindi, che il tuo timore di non essere in grado di governare i capricci del tuo bambino sul seggiolone ha un’evidente ragion d’essere. Questo però non ti deve spaventare, perché io sono qui per aiutarti a governarli.

Alcuni autori hanno posizioni ambivalenti sui capricci dei bambini: chi dice che serva rigore, chi sostiene di non imporre tutto al bambino, ma solo le cose fondamentali, chi di lasciare il bambino libero di esprimersi. Quale delle tante è la soluzione più appropriata?

In pedagogia, ad un bambino non si impone nulla; il bambino si educa. Questo comporta che dovrà fare anche delle cose che non gli piacciono; ma andrà educato a comprenderle e a farle proprie perché la cosa è nel suo interesse.

È improprio usare la parola “imposizione” riferendosi al ruolo del genitore, perché si veicola il concetto che il bambino debba fare una cosa a prescindere, decisa indipendentemente da lui.
Il bambino va accompagnato usando gli strumenti che è in grado di comprendere; ad esempio, parlando con lui e per lui, dando voce ai suoi pensieri.

Quindi, ti chiederai come si gestiscono i capricci di un bambino di un anno. Approfondiamolo.

3. Come gestire i capricci di un bambino di 1 anno

Ti ho detto che servono competenze e capacità. Le prime si possono formare, leggendo e studiando; le seconde invece sono delle qualità innate, che possiede ognuno di noi; ci metto dentro anche le sensibilità. Si tratta, però, di capacità che vengono spesso utilizzate in modo poco efficace; quindi voglio aiutarti ad essere più incisivo nel modo in cui usi gli strumenti che sicuramente già possiedi.

Qui lo vedremo in modo specifico, per gestire i capricci del bambino; ma se mi segui vedrai che ti darò molti altri spunti per ogni tipo di problematica educativa tu possa dover affrontare.

A differenza dei “capricci” di un jet, quelli di un bambino si possono governare anche con una carezza, con una parola o con uno sguardo. L’importante è usare la parola giusta nel momento giusto; vediamo come fare.

Il tuo bambino gioca con il cucchiaio e lo sbatte forte sul piatto: è un comportamento normale, lui ha bisogno di stimoli e li ricerca in ogni frangente attraverso tutto ciò che è nella sua disponibilità.

Se lo fa ogni tanto non è un problema; peraltro esistono cucchiai di gomma, che permettono al bambino di mangiare da solo ma non creano alcun problema se sbattuti.

Puoi dargli tranquillamente la tua attenzione se lui cerca di richiamarla, e puoi esprimere a parole il rumore che lo attira nominando gli oggetti (“Boom? Il cucchiaio che sbatte sul piatto fa tanto rumore.”), così soddisfi la sua curiosità.

Se continua a farlo e trascura di mangiare, puoi spiegargli che non è il momento; a un bambino si parla sempre, anche quando molto piccolo.
Qualora dovesse insistere, puoi tornare ad imboccarlo tu per un po’; se questo a lui non va, meglio: puoi spiegargli che gli rendi il cucchiaio se lui mangia adeguatamente.

Preferisce mangiare con le mani anziché col cucchiaio: in questa fase può non essere ancora sufficientemente abile col cucchiaio e questo lo infastidisce; così preferisce usare le mani perché gli riesce meglio. Tu puoi continuare a dare importanza all’uso del cucchiaio; ad esempio, puoi chiedergli di usare il cucchiaio almeno un po’, per poi allungare il tempo sempre di più. L’importante è che cerchi di valorizzare i momenti in cui lo usa.

Non gli piace stare seduto nel seggiolone, preferisce gironzolare per la stanza: ho visto un sacco di persone correre dietro al figlio con il piatto in mano per farlo mangiare. La giustificazione che solitamente viene data è che così almeno mangia. In realtà non è nemmeno sempre così, perché la completa libertà spinge facilmente il bambino a decidere quando e cosa mangiare; in genere più che mangiare, gioca.

Per evitare di ricadere in questo circolo vizioso, è utile consolidare nel bambino l’abitudine a rimanere seduto durante il pasto. Non serve usare la forza, solo un po’ di decisione nel governarlo e soprattutto un po’ di strategia per rendergli la situazione più serena.

Prima di mangiare, ad esempio, si può far scaricare il bambino con qualche gioco che gli consenta sia di dissipare un po’ di energie, sia di avere l’attenzione di mamma o papà.

Durante il pasto, è utile parlare al bambino e glielo si rende anche più piacevole come momento. Se pretende di giocare, gli si spiega che quel momento avverrà dopo, e che avrà la nostra attenzione. Dopo il pasto, si mantiene ciò che si sia promesso.
La routine rassicura il bambino; più la routine è stabile, più il bambino è sereno.

Inizia a piangere e a strillare per scendere: parla al bambino, dai voce alle cose che lui non è in grado di esprimere. «Lo so Alex che tu vorresti andare a giocare, ma bisogna fare la pappa, così diventi più grande.

Appena hai finito tutto potrai scendere.» Interagisci con lui e osserva come reagisce, poi valuti come proseguire. Ha fame ma vuole giocare? È sazio e vuole scendere? Agisci di conseguenza ed esprimiglielo a parole.

Qualunque cosa sia, finché tu riesci a dare voce al disagio di tuo figlio, lui si sentirà accolto e tu proverai maggiore serenità nel gestire un momento difficile.

Pierluigi

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