come educare un neonato

Come educare un neonato

Sei diventato mamma o papà da poco e stai affrontando i primi impegni da genitore. La tua vita è cambiata enormemente rispetto a prima che nascesse il tuo bambino, e ora ti devi cimentare con dei compiti piuttosto complessi.

Hai un sacco di dubbi su come educare il neonato, né tu né il/la tuo/a partner avete delle certezze sulla correttezza del vostro modo di gestire il bambino e non sapete a chi rivolgervi.

Avete provato a chiedere ad altri genitori, ma avete ottenuto pareri molto discordanti, perciò continuate a porvi le stesse identiche domande: quando devo farlo dormire? La notte devo tenerlo nel lettone o nella sua cameretta? È giusto tenerlo spesso in braccio o si abitua male? E se lo vizio troppo?…

Sappi che le domande su come educare un neonato se le pongono tutti i genitori del mondo; anche chi come me ha una specifica formazione in merito.

Ti tranquillizzo subito; nei paragrafi che seguono troverai delle indicazioni interessanti per capire come rispondere a tutte le tue domande. Riuscirai, infatti, a dotarti di una strategia in grado di avvicinarti al tuo bambino con una maggiore sicurezza nei tuoi mezzi e la possibilità di evitare alcuni errori grossolani che si possono commettere. 

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1. Se vuoi capire come educare un neonato, chiediti cosa significa educare

La prima cosa sulla quale invito a riflettere tutti i genitori e anche le coppie in attesa, riguarda il senso che intendono dare all’educazione. Io ne parlo in modo specifico in un post che spiega questo concetto; ma ti invito soprattutto a leggere la pagina che ho dedicato al tema “come educare un bambino“, in cui troverai una breve guida sulle strategie da applicare e che qui ti mostrerò come applicare con il neonato.

In sostanza, l’educazione di un bambino può essere pensata come un aiuto allo sviluppo dei suoi talenti e, quindi, alla sua realizzazione personale. Questo aiuto è tanto più efficace quanto più il genitore è in grado di osservare e far emergere i talenti del bambino, anziché cercare di realizzare prevalentemente se stesso attraverso il bambino.

Pertanto, se hai capito qual è il senso che intendi dare all’educazione di tuo figlio e anche tu ritieni utile pensarla come un aiuto al suo sviluppo, allora possiamo condividere un valido approccio educativo da adottare con un neonato. Ciò che ti propongo si ispira a questi principi:

– avere un punto di partenza: il tuo bambino, oggi;
– avere uno scopo: fare emergere i talenti di tuo figlio;
– saper applicare delle competenze pedagogiche di base, ovvero: esercitare una funzione educativa (o di “guida”); applicare correttamente le 3 fasi dell’educazione; dare al bambino gli stimoli corretti al suo sviluppo.
Ora ti mostrerò come farlo, utilizzando un esempio semplicissimo.

2. Il punto di partenza e di arrivo del tuo ruolo di genitore

Il punto di partenza e il punto di arrivo per te è rappresentato sempre e solo dal bambino. La differenza tra i due punti riguarda, quindi, il bambino: tu ti occupi di lui oggi, nel suo qui ed ora, ed è questo che devi essere in grado di osservare e comprendere. Questo è il tuo punto di partenza.

Lui, però, si trasforma ad un ritmo rapidissimo; le piccole conquiste di ieri sono oramai delle competenze consolidate, e devi guardare continuamente avanti. In nessuna fase dello sviluppo la velocità di cambiamento è pari a quella che puoi osservare nei suoi primi mesi di vita.

In questa continua trasformazione, tu hai la necessità di adeguarti spesso ai suoi ritmi e alle sue caratteristiche; infatti ti chiedi in molti casi se devi essere tu a condurre il bambino (dargli un ritmo, una regola, ecc.) o se devi lasciare che esprima se stesso.

La funzione educativa che ti compete, ti riveste certamente di un ruolo di “guida”; ma non è un ruolo direttivo, tu non dici continuamente al tuo bambino dove andare. Forse all’inizio, ma in realtà ti spiegherò come seguire i suoi ritmi.

Questa funzione di guida è più simile all’attività di scuola guida, in cui si insegna a guidare un mezzo ma senza indicare la direzione da prendere. Come ti comporti per insegnare a qualcuno a guidare?

– Prima fai «per lui»: gli mostri come si fa, guidando direttamente il mezzo;
– Poi fai «con lui»: gli lasci gradualmente i comandi del mezzo, ma intervieni di tanto in tanto per sostituirti a lui se non ce la fa;
– Infine sei presente mentre «lui fa»: gli lasci la gestione autonoma del mezzo, ma stai al suo fianco per intervenire in caso di eventuale necessità.

Per svolgere bene questo ruolo di guida, devi avere uno scopo, un punto di arrivo; altrimenti non sei in grado di condurre l’aspirante “autista” ad un obiettivo (imparare a guidare).

Bene, nel nostro caso, l’obiettivo che possiamo darci è fare emergere le potenzialità del bambino e aiutarlo a svilupparle nel miglior modo possibile.
Non lasciarti ingannare dalle apparenze: mentre in un adolescente è molto facile osservare ciò che è capace di fare, per un neonato può sembrare meno evidente. Se però ti avvicini a lui con la giusta sensibilità, vedrai che sarà lui a dirti giorno per giorno chi è e di cosa ha bisogno.

Adesso che ti ho precisato questi aspetti, puoi comprendere e utilizzare le strategie che metto a tua disposizione.

3. Come dare al bambino gli stimoli di cui ha bisogno

La strategia per sapere come dare al bambino degli stimoli adeguati e non eccedere né ad un estremo, né all’altro, consiste nel lavoro sulla «zona di sviluppo prossimale»: se do al bambino una prova troppo difficile per lui, si sconforta; se gliene do una troppo facile si annoia, se gliene do una al suo livello di competenza non cresce.

Come fare a trovare la giusta via di mezzo? La soluzione è di mettere il bambino in una situazione leggermente più difficile rispetto a ciò che lui è in grado di fare.

Benissimo, ora però vorrai vedere come metterlo in pratica con un neonato, nella vita di tutti i giorni. Ti accontento subito.
All’inizio parlavamo dei dubbi più frequenti in un genitore di un neonato; tra questi, per esempio, c’era il problema della nanna. Questo è un argomento tra i più dibattuti, sul quale troverai pareri di ogni sorta, spesso diametralmente opposti.

Alcuni esperti sostengono di lasciare il bambino piangere nella culletta finché si addormenta; altri invece ritengono di correre al primo sussulto per non angosciarlo; alcuni pediatri spingono persino ad allattare il bambino appena piange, per rasserenarlo. Chi ha ragione? La risposta è sempre una: il tuo bambino.

Il tuo bambino è il tuo punto di partenza, nel suo qui ed ora (a 1 mese, 2 mesi, 6 mesi… 10-15 anni, ecc.) e con dei bisogni; tra cui quello di essere accudito, come nel caso della nanna.

Il tuo bambino è il tuo punto di arrivo, ovvero fargli esprimere le sue potenzialità (a 1 mese, 2 mesi, 6 mesi… 10-15 anni, ecc.), quindi: imparare a muoversi, conoscere l’ambiente, esercitare i sensi e quant’altro.
Vediamo come capire il modo più adeguato di comportarsi, attraverso la zona di sviluppo prossimale:

A) il compito è molto al di sopra delle sue capacità: se lo si lascia piangere sempre finché non si addormenta, probabilmente non smette di piangere perché si è finalmente rassicurato, ma perché ha capito che nessuno interviene mai per confortarlo. Non è una tragedia, ma con un comportamento di questo tipo gli si sta comunicando questo messaggio; lasciandolo a se stesso può darsi che ce la faccia, o può darsi di no; certamente noi abdichiamo alla nostra funzione di “guida”.

B) il compito è molto al di sotto delle sue capacità: se lo si tiene sempre attaccato a sé e si anticipa il suo pianto, non lo si abitua a tollerare delle piccole frustrazioni, nonostante sia in grado di reggerle, almeno in parte. In questo modo, non gli si permette di esercitare nemmeno le capacità che già possiede; men che meno se ne fanno emergere delle altre.

C) il compito è esattamente al livello delle sue capacità: se si corre da lui al primo vagito, lui si abitua ad essere rassicurato dagli altri, ma non si mette alla prova cercando di farlo autonomamente. In altre parole, sa di potersi appoggiare a qualcuno in caso di necessità, e questo lo conforta e lo rende più sicuro. Però, non ha motivo per imparare ad esprimere altre capacità.
Come ho spiegato in altre circostanze, è molto utile fornirgli degli stimoli «leggermente» superiori alle sue capacità attuali, in modo che si possa evolvere ulteriormente.

Pertanto, se viene lasciato piangere un po’ di tempo prima di essere accudito, questo non reca in lui alcun danno; ma soprattutto lo aiuta a cercare dentro di sé le risorse per affrontare il problema da solo, con le capacità che possiede o con altre che può scoprire.
Inoltre, una volta abituato a resistere per alcuni istanti senza l’intervento della mamma o del papà, al bambino si può chiedere di sforzarsi un po’ di più, perché sta imparando a gestire meglio lo stress.

Alla luce di questo, non sarò io a dirti entro quanto tempo dover correre dal tuo bambino nel cuore della notte; sarete tu e lui a deciderlo, nel rispetto del suo bisogno di crescita e del suo bisogno di dormire.

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