Educare significa tirare fuori le potenzialità di una persona; l’origine latina della parola esprime abbastanza bene un concetto che si accompagna alla vita umana da milioni di anni, per quanto da sola possa trarre in inganno chi non ne sappia di pedagogia.
Educare è sempre consistito nel preparare le giovani generazioni ad affrontare autonomamente la vita adulta; tuttavia, in seguito all’evoluzione biologica e culturale della nostra specie, l’azione di educare si è trasformata radicalmente.
Guardando solamente alcuni decenni addietro, ci si accorge che è cambiato il modo di preparare le giovani generazioni: un tempo si seguiva un’educazione dei bambini molto rigida, mentre oggi assistiamo al fenomeno opposto.
È cambiato anche lo scopo dell’educazione, poiché la rigidità di un tempo serviva a preparare le giovani generazioni ad assumere dei ruoli ben definiti; contrariamente a quello che viene oggi, periodo in cui l’educazione serve a preparare le persone a governare la complessità.
Nella società fluida in cui viviamo, fatta di trasformazioni quotidiane (nel modo di comunicare, nei ruoli professionali da assumere, nella proliferazione di nuovi lavori, ecc.), non è per nulla funzionale centrare l’educazione sui ruoli predefiniti di un tempo.
Inoltre, è cambiato anche l’oggetto dell’educazione, ciò colui al quale essa è rivolta. Non è più solo il bambino ad essere considerato educabile, lo siamo tutti: giovani, meno giovani, anziani, adulti, genitori e figli, insegnanti e studenti. Infatti, la pedagogia contemporanea ci spiega molto chiaramente che da ciascuna di queste persone è sempre possibile “tirare fuori” delle potenzialità; così come è sempre possibile farle sviluppare, al meglio delle possibilità dell’individuo.