Education

Problemi educativi: come prevenire forme di disagio

Quello di cui ti voglio parlare adesso riguarda un concetto abbastanza importante in educazione, ovvero la prevenzione del disagio.

Al di là del benessere che accompagna il progresso della società, la realtà in cui viviamo non è sempre ideale per favorire le migliori condizioni di vita di tutte le persone. L’Italia è un paese molto ricco, ma nonostante questo esistono molte persone che vivono al di sotto della soglia della povertà.

Oltre a questo, sono tante le persone che non rientrano nella fascia della povertà, ma devono affrontare delle condizioni umane molto complesse; mi riferisco a persone con difficoltà particolari, disabilità, parenti da assistere, ecc.

Molte volte, queste situazioni diventano talmente complesse da generare nelle persone forme di disagio estremamente pesanti. Ricordo le tante famiglie in difficoltà che ho seguito, in cui madre e padre avevano problemi di dipendenza o avevano perso il lavoro, dovendo gestire tre-quattro figli con difficoltà di ogni genere: disturbi di apprendimento, adolescenza problematica, devianza, ecc.

Una famiglia in queste condizioni è portatrice di un disagio inimmaginabile; inoltre, il costo per la società è enorme. Sommato a tutti i casi in cui si verificano situazioni del genere, gli oneri che bisogna affrontare per sostenere le difficoltà di soggetti in difficoltà è incalcolabile.

Si tratta di problemi educativi molto rilevanti, ma esiste una casistica estremamente ampia di situazioni che potrebbero essere del tutto diverse se si attivassero sempre, in modo tempestivo ed efficace, i canali di prevenzione del disagio educativo che permettono di anticipare la formazione di situazioni simili.

In poche parole, sarebbe sufficiente creare con maggiore precisione dei congrui percorsi di educazione.

  1. Problemi educativi: prevenire è meglio che curare
  2. Un caso d’eccellenza
  3. I problemi educativi e la loro gestione
  4. I costi della prevenzione e quelli della sua assenza
  5. I possibili effetti di una buona prevenzione

1. Problemi educativi: prevenire è meglio che curare

Prevenire il verificarsi di un problema, di un danno, di un elemento avverso, è molto più “economico” in termini di costi, tempi e serenità, rispetto alla gestione di un importante problema che esploda in tutto il suo disagio.

L’ho detto molte volte quando ho collaborato con le scuole e con i servizi socio-sanitari, anche se è un tema molto difficile per le istituzioni: spendere 10 oggi per prevenire un disagio famigliare è molto meglio che spendere domani 100,1000 o più per doverlo gestire (e, spesso, gestire malamente, in emergenza).

Purtroppo, non c’è una sufficiente cultura della prevenzione nel nostro paese e lo stesso avviene anche in educazione. È normale lamentarsi dopo che le pecore siano fuggite, senza aver provveduto prima a chiudere l’ovile.

Ti racconto una bella esperienza professionale che ho vissuto agli inizi della mia carriera, quando facevo l’educatore in una realtà del mio territorio, in cui i servizi sociali funzionano in modo impeccabile. L’artefice di questa esperienza, mia “maestra” in materia di servizi sociali, è Roberta, un’assistente sociale semplice e pragmatica, molto appassionata del proprio lavoro.

2. Un caso d’eccellenza

Sono fermamente convinto che non servano sempre grandi persone per fare grandi cose; spesso, bastano persone comuni purché collaboranti e centrate sullo scopo. Così è Roberta: amante del proprio lavoro, capace di ascoltare ed osservare, abile a rapportarsi con altri professionisti e operatori per valorizzarne i punti di forza e mitigarne i punti deboli, consapevole di esercitare una funzione pubblica nell’interesse della comunità.

Roberta non vuole salvare il mondo, a lei interessa semplicemente esercitare la sua funzione professionale, né più né meno che entro i limiti del proprio mandato.

Nella sua realtà è presente da diverse decine di anni una piccola comunità rom, abbastanza stanziale. In pratica, benché questa comunità sia sempre stata dedita a spostarsi periodicamente attraverso l’Italia e l’Europa, per mantenere i propri legami con gli altri membri del proprio clan, ha trovato in quel piccolo comune un terreno fertile in cui iniziare a mettere radici.

Hanno acquistato un campo nella periferia del paese, hanno iniziato a fermarsi sempre più stabilmente coi loro camper, fino a collocare delle piccole casette di legno, molto dignitose.

Un membro di questa comunità ha avuto seri problemi di criminalità: furti, rapine, e fin un omicidio. L’omicidio è stato ciò che ha spinto quella famiglia ad allontanarsi da lui. Lo ha considerato una pecora nera che ha gettato disonore su quella famiglia, la quale ha perseguito la strada della legalità vivendo giorno per giorno di lavori temporanei (difficile per un rom essere stabilizzato): raccolta di pomodori, conduzione di camion e attività analoghe. Oltre a questo, sono stati tutti sempre appassionati di cavalli.

La questione delle popolazioni nomadi è complessa, non voglio ridurla a poche righe, non voglio farne né l’apologia né la criminalizzazione. A me interessa solo portare un’esperienza virtuosa, in cui le persone giuste si sono trovate nel posto giusto al momento giusto.

3. I problemi educativi e la loro gestione

La comunità locale ha saputo comprendere lo sforzo che questa famiglia cercava di fare scegliendo una vita diversa da quanto richiedevano le pressioni che arrivavano dal proprio clan di appartenenza; e grazie a questo, la comunità intera ha saputo vivere questa famiglia senza rilevanti preconcetti.

I servizi sociali hanno favorito l’inclusione della famiglia rom nella società, dandole gradualmente i pochi mezzi necessari ad integrarsi; spesso piccole cose, come vestiti usati, mobili vecchi, qualche aiuto economico ma soprattutto pratico.

Tutti i bambini di quella famiglia hanno sempre frequentato le scuole locali, spesso anche con buoni profitti. Tutti i loro bambini hanno giocato con gli altri, a scuola e nei parchi; in molti casi sono stati accolti alle festicciole di compleanno di altri coetanei, senza nessuna difficoltà.

Nessun abitante di quel comune, vive quella famiglia come un problema per la sicurezza o per la legalità nel territorio. In molti casi, vari abitanti hanno rapporti di amicizia e collaborazione con loro.

Roberta è la persona che per molti anni ha saputo plasmare quella sorta di non-rifiuto, di pace-armata che esisteva tra la famiglia e la comunità locale, in un virtuoso processo inclusivo. Non lo ha fatto da sola, ma insieme a una buona direzione scolastica e a buone politiche.

Gli educatori del comune, tra cui io, hanno lavorato in modo integrato e paziente con i bambini rom, le loro famiglie, gli insegnanti e la popolazione per favorire una reale integrazione, e i risultati sono stati soddisfacenti per l’intera popolazione locale.

4. I costi della prevenzione e quelli della sua assenza

Certamente, tutto questo ha avuto un costo. Il comune ha speso tempo e denaro per questo percorso, coinvolgendo insegnanti, operatori del sociale, genitori, cittadini. Cosa sarebbe successo, però, se di fronte a quell’omicidio la gente avesse guardato l’intera famiglia rom con gli stessi occhi con i quali guardava l’assassino?

Non voglio essere ingenuo; è assai probabile che tanti nella comunità abbiano pensato che il comportamento di quella persona potesse essere adottato anche dal resto della famiglia; e che abbia guardato quelle persone proprio in questo modo.

Tuttavia, ciò non ha impedito al territorio, ai politici di vari schieramenti, agli insegnanti, al panettiere, all’idraulico, all’ingegnere del posto, di giudicare l’assassino e i suoi famigliari in modo diverso; dando a questi il beneficio del dubbio e lasciando la porta aperta.

La famiglia rom, dal canto suo, ha saputo varcare quella porta con dignità, anche con l’aiuto di operatori in grado di mediare questa interazione.

Io sono convinto che i soldi spesi negli anni per affiancare quella famiglia rom e le componenti della comunità con personale educativo e sociale, in grado di mediare queste interazioni, siano stati pari ad una cifra infinitamente più bassa di quanto quella comunità avrebbe speso senza un’accurata gestione dei processi di integrazione.

Naturalmente, io ne avrei spesi anche di più, perché non c’è limite al meglio. Ad esempio, avrei voluto sfruttare l’occasione per far raggiungere al ragazzo un traguardo più elevato, come ti racconterò ora. Purtroppo, però, le risorse del comune non hanno permesso di avviare ulteriori percorsi e il mio lavoro è stato dirottato su altre situazioni.

5. I possibili effetti di una buona prevenzione

Uno dei ragazzi della famiglia che seguivamo era estremamente intelligente e si comportava tanto a modo nei rapporti con le persone. Era il classico ragazzone robusto e un po’ ingenuo, a cui tutti vogliono bene.
Il suo stupore traspariva anche quando non si meravigliava di aver compreso una lezione senza alcuno sforzo, persino quelle che erano assai complesse per i suoi coetanei di “buona famiglia”, ben seguiti a casa, che gli sedevano nel banco accanto.

Mi sarebbe piaciuto fargli proseguire gli studi oltre l’obbligo scolastico, e magari portarlo anche all’università. Perché lo avrebbe voluto, ne aveva le capacità e possedeva le qualità per tracciare un’importante strada di integrazione tra il suo clan di origine e la comunità in cui viveva.

Nel comune, però, non c’erano le risorse per garantire al ragazzo il mio appoggio per un tempo maggiore; di conseguenza, la famiglia non se l’è sentita di investire su un percorso di studi perché nessuno di loro l’aveva mai fatto. Perciò, ha preferito che il figlio andasse a lavorare ed io ho concluso il mio lavoro con lui.

Il ragazzo non ha fatto l’università, e nemmeno le superiori; ma lavora sodo da tanti anni, con un lavoro regolare e una grande passione per i cavalli.

Pierluigi

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