«Te l’avevo detto che così si rompeva! Ora sei in punizione, niente tv per tutta la settimana!» Quante volte è capitato di dirlo o di sentirlo dire? È una cosa talmente radicata nel gergo comune che pare non si possa fare a meno delle punizioni per educare i bambini.
Capita anche di leggere degli articoli in cui si spiega come punire un bambino e quali punizioni dare ai bambini per essere più efficaci. Ma è proprio così?
No, la realtà è profondamente diversa. Non è solo possibile far crescere un bambino senza punizioni né minacce, ma è la sola strada percorribile nel suo interesse per renderlo solido.
Ora voglio spiegarti la ragione per educare senza punizioni, affinché non scivoli anche tu su questa pericolosa buccia di banana. Intendo soprattutto offrirti un’alternativa efficace per esercitare un adeguato ruolo educativo verso il tuo bambino.
1. Punizioni bambini: che senso hanno?
Inizia a chiederti perché dovrebbe servire punire un bambino e ti accorgerai presto della mancanza di senso di questa cosa.
Nemmeno il sistema penitenziario si regge più sul concetto di punizione. Pur con tutti i limiti del sistema, lo scopo del carcere è la rieducazione del detenuto, non la sua afflizione. Ciò nonostante, nel gergo popolare è ancora diffuso il concetto di punizione in merito all’educazione del bambino e ai suoi capricci.
A te che vuoi essere un genitore attento ai bisogni di crescita del tuo bambino, l’inadeguatezza di questo principio non può sfuggire; infatti io te ne parlo subito per renderla ancora più chiara.
La domanda che ti devi porre per capire quanto poco valga il concetto di punizione è la seguente: perché devo affliggere il bambino?
Lui non ha bisogno di sentirsi afflitto per capire di avere sbagliato. Può darsi che il danno sia talmente grave da renderti furente e, di conseguenza, il tuo solo sguardo riuscirà a farlo sentire colpevole di un grave danno.
Da un lato, questo atteggiamento è umano, quindi non ti deve preoccupare; dall’altro, però, non è su questo che si fonda una relazione educativa.
Il tuo compito non è giudicare ed emettere una sentenza, ma di educare tuo figlio. Il tuo ruolo educativo in questi frangenti ha lo scopo di favorire l’uscita del bambino da una situazione disfunzionale per la sua crescita personale. Impuntarsi su una cosa oltre ogni ragionevolezza è un comportamento disfunzionale, perché non lo conduce da nessuna parte e a lungo andare lo fa soffrire.
Nessuno, però, dice che un bambino debba essere punito per questo. Lui va semplicemente accompagnato a comprendere e interiorizzare un comportamento più idoneo; perché solo così sarà sereno e realizzato nel corso della sua vita.
Pertanto, educare non ha nulla a che fare con la punizione; si tratta di due concetti totalmente slegati. A questo punto devo mostrarti un’alternativa possibile alle punizioni.
2. L’alternativa alla punizione dei bambini: la responsabilizzazione
Avendo chiarito la profonda differenza tra punire ed educare, ora possiamo cercare un modo più adeguato ai nostri tempi per mandare in cantina le vecchie “punizioni”. Questo modo è la responsabilizzazione del bambino, cioè un percorso con il quale lo si abitua a riflettere sempre di più sugli aspetti che lo aiutano a evolvere:
– le conseguenze che i suoi gesti hanno, ovvero gli effetti che producono agli altri e a se stesso: con una punizione non è per nulla scontato che il bambino lo capisca; in un sistema punitivo ciò su cui è più concentrato il bambino riguarderà il dolore per la sua pena, ma non necessariamente il senso di quel provvedimento.
– la necessità di assumere dei comportamenti più adeguati al contesto: il bambino non deve essere costretto a comportarsi come vogliamo noi adulti, perché lo diciamo noi. Lui va aiutato a comprendere quali comportamenti lo tutelano dalle ripercussioni a cui potrebbe andare incontro comportandosi “male”. Una volta compresi, il bambino va valorizzato nell’assumerli e gli vanno indicati i numerosi vantaggi che hanno.
La prospettiva è completamente diversa dalle punizioni, poiché il bambino va soprattutto premiato per i gesti apprezzabili che compie, anziché vivere nel timore delle ripercussioni. Questo principio è la chiave di volta per favorire l’autostima di tuo figlio.
Come vedi, ancora una volta la via maestra per l’educazione è rappresentata dal dialogo. Ora ti mostro più concretamente il modo in cui puoi trasmettere questi aspetti.
3. Il senso da dare alla responsabilizzazione
Come ogni cosa, anche un rimprovero o una sanzione devono avere un senso; infatti, se un bambino riceve un rimprovero senza comprenderlo, non serve a nulla. Perciò bisogna trovare il senso da dare alla responsabilizzazione.
Il senso è farne un’occasione per recuperare la situazione ed eventualmente ripagare il danno. Se ciò viene fatto e l’intervento aiuta il bambino a comprendere meglio l’errore commesso, sarà altamente improbabile che lo ripeta.
Quando si prende un provvedimento verso il bambino per sanzionare un suo comportamento inadeguato, bisogna essere equi e proporzionati. La ragione è che noi parliamo al bambino con i nostri comportamenti, prima ancora che con le nostre parole.
Se abbiamo l’abitudine di giudicarlo in modo sbrigativo o eccessivo, senza nemmeno dare valore alle sue parole, lui impara che noi non siamo obiettivi e non avrà fiducia nel nostro giudizio.
Al contrario, se siamo cauti nel nostro giudizio, stendiamo le fondamenta per un rapporto di fiducia. Questo comporta che di fronte ad un guaio o un danno provocato dal bambino, lui non sarà focalizzato soprattutto sulla “punizione” che riceverà. La sua attenzione sarà rivolta alle nostre parole, che cercherà di interiorizzare volentieri perché si fida di noi.
Pertanto, ti sconsiglio di concentrarti su come punire tuo figlio o di vivere con ansia i suoi comportamenti più vivaci. Il tuo obiettivo deve essere di trasmettergli la massima fiducia nei suoi confronti, attraverso un rapporto quotidiano con lui che ti permetta di educarlo alle responsabilità; per piccoli passi.
Facciamo un esempio: tuo figlio ha fatto male a un suo compagno.
– Chiedigli il perché del gesto e ascolta la sua versione. Così capirà che non hai preconcetti.
– Se ne hai l’occasione, fallo parlare con l’altro bambino affinché si spieghino a parole.
– Cerca di comprendere se tuo figlio si è ravveduto per ciò che ha fatto. Se ha realmente compreso il significato negativo di quel gesto, forse non c’è bisogno di essere particolarmente severi.
– Se le aggressioni da parte sua sono piuttosto frequenti, allora fanne un caso da discutere con lui. È necessario che rifletta sulla difficoltà che incontra con gli altri bambini.
– Sensibilizzalo al disagio che ha provocato nell’altro bambino e fallo riflettere su cosa proverebbe a subire un’aggressione. Così si immedesima nella situazione di disagio di un’altra persona.
– Se vuoi fargli comprendere bene le conseguenze che quel gesto avrà su se stesso, puoi parlarne con tuo figlio nel momento in cui avrebbe qualcosa di interessante da fare (ad esempio, guardare la tv): la sua attenzione è certamente più elevata, ma soprattutto gli puoi spiegare che se non si fosse creata quella situazione, lui non perderebbe il tempo a parlarne. Potrebbe, infatti, dedicarsi ad altro.
Come avrai modo di vedere, una semplice procedura di questo tipo è già sufficiente a far riflettere il bambino sulle conseguenze di un gesto poco adeguato; tuttavia, non è aggressiva come uno schiaffo, né noiosa come una paternale.
Il piccolo disagio che gli crea dover sottrarre del tempo al gioco, per discutere con te serenamente su un brutto episodio, non è supplizio; però aiuta molto ad ottenere la sua attenzione.