Violenza sulle donne e femminicidio sono argomenti tristemente ricorrenti nelle cronache quotidiane degli ultimi anni. Episodi di violenza sulle donne ci sono sempre stati, ma forse ora c’è un’attenzione maggiore verso questi fenomeni, almeno da parte dei media.
Si leggono continuamente storie di violenza di uomini contro le donne, le ragazze e persino le bambine. La cosa più raccapricciante è che spesso questi uomini hanno dei legami con le loro vittime: sono i mariti, i compagni, i padri di quelle persone. Sono figure legate “affettivamente” o addirittura responsabili della cura e del loro sviluppo.
Molto spesso si tratta di persone insospettabili, uomini di cui non ti aspetteresti mai di leggere certe cose sui giornali; persone senza particolari problemi economici, magari anche benestanti, con una professione stabile e una famiglia del tutto ordinaria.
Infatti è anche molto difficile comprendere il senso di quei gesti distruttivi e, spesso, nessuna informazione sembra spiegare in modo chiaro quale possa essere stato il senso di un gesto tanto estremo. La ragione è che quel senso va probabilmente ricercato all’interno della personalità di uomini particolarmente fragili; inoltre, negli ultimi anni quella fragilità sta emergendo come mai era accaduto prima.
In Italia, il triste fenomeno di violenza che sfocia nell’omicidio di una donna ha assunto una denominazione specifica, si parla di «femminicidio». Altrove, il termine viene inserito prevalentemente nella più ampia categoria delle violenze di genere. Non voglio sminuire la gravità di tutte le discriminazioni di genere, ma ora voglio limitarmi a ragionare con te su quelle che coinvolgono le donne.
Partiamo innanzitutto dal chiarire cos’è il «femminicidio», ovvero l’omicidio di una donna per il semplice fatto di essere tale.
Si tratta di una forma estrema di violenza di genere, che nasce da una spiccata disuguaglianza tra uomini e donne, che è radicata nella cultura e nella storia di molti paesi del mondo.
È un fenomeno diffuso in molti paesi, anche se le cifre esatte sono difficili da ottenere, poiché molte vittime non vengono denunciate o non vengono identificate come femminicidio.
Inoltre, il femminicidio non riguarda solo le vittime dirette, ma anche le famiglie e le comunità che subiscono il dolore e il trauma di perdere una persona cara in modo violento e senza una ragione apparente. In sostanza, un alto tasso di femminicidio può essere considerato anche un indicatore di una società malata, in cui le donne non sono considerate e valorizzate come esseri umani a pieno titolo.
Il femminicidio è quindi un fenomeno sociale. Si tratta di qualcosa che va oltre la violenza fisica contro le donne, ma rappresenta una minaccia per l’intera società. Solo attraverso un approccio integrato e sostenuto da tutti gli attori coinvolti in un territorio è possibile ridurre il peso delle violenze di genere e costruire una società più equa. Ora entriamo nel merito delle possibili cause.
Come ti ho spiegato prima, il femminicidio può essere considerato un fenomeno sociale, ma possiamo dire anche di più; si tratta di un fenomeno complesso che ha radici profonde nella cultura.
Esistono molte possibili cause che possono contribuire al verificarsi di questo tipo di violenza di genere e non è possibile identificare facilmente una causa specifica. Indubbiamente, alcune delle cause indicate più frequentemente riguardano una diffusa discriminazione di genere, l’educazione sessista e il controllo delle donne da parte degli uomini.
Tuttavia, una delle cause del femminicidio decisamente più verosimili può essere ricercata nella cultura patriarcale che ancora oggi permea molte società. Quando dico “cultura” patriarcale la intendo in senso ampio, anche laddove formalmente esiste un sistema di leggi che ammette la completa uguaglianza di genere; poiché molte volte quella uguaglianza non viene applicata di fatto.
Avendo avuto la fortuna di studiare con un pedagogista illuminato come il prof. Franco Blezza, già nei primi anni ’90 io avevo un’idea molto chiara delle cause che sono alla base dei fenomeni di violenza di genere: la fragilità del maschio odierno.
L’analisi di Blezza sul passaggio dalla cultura che nell’800/’900 ha garantito l’assoluta tutela del genere maschile a svantaggio del genere femminile, a quella odierna che non garantisce più al maschio tutte le libertà di un tempo, è magistrale.
Nel suo testo più prestigioso, Educazione 2000 (oggi Educazione XXI secolo), Blezza ammoniva già trent’anni fa sui rischi di un modello educativo che per due secoli ha prodotto maschi fragili. Oggi ne vediamo gli effetti, anche e soprattutto nel fenomeno della violenza di genere.
In parole semplici, il genere maschile è cresciuto per secoli all’interno di una cultura in cui ha trovato iperprotezione, tutela e vantaggi enormi rispetto al mondo femminile. Ora questo non avviene più in modo così sistematico e, quando non avviene, ciò crea un forte disagio negli uomini poiché non sono culturalmente predisposti ad interloquire con le donne alla pari.
Pertanto, gli uomini devono iniziare ad essere educati alla parità di genere. Non solo per una questione civile, ma anche nell’interesse delle opportunità di realizzazione personale e di autodeterminazione del genere maschile.
Si potrebbero poi citare anche altri aspetti alla base della violenza di genere, come la perpetuazione di discriminazioni all’interno della stessa famiglia, ma anche dalla religione, dai media e dalle istituzioni; oppure la mancanza di rispetto per la vita delle donne e la loro autonomia; oppure il peso di molti fattori socio-economici, come la disoccupazione, l’insicurezza economica o l’instabilità. Ma si tratta di aspetti conseguenti, che ne amplificano gli effetti.
Di conseguenza, di fronte ad un problema culturale bisogna fornire una risposta culturale; serve un pensiero nuovo.
Fra i tanti dati che si possono trovare sulla violenza di genere, benché parziali, ce n’è uno che mi ha colpito molto: per tutti gli omicidi di donne avvenuti in Italia nel 2021, quindi recentemente, è stato individuato il responsabile.
Non so se faccia anche a te un certo effetto, ma personalmente trovo che questo dato sia singolare; anche perché quasi il 60% di questi omicidi si è verificato nella relazione di coppia, ad opera del partner o ex-partner. Questo aspetto fa capire come sia stato viscerale l’istinto di quel drammatico gesto, poiché a nessuno di quei carnefici è importato nascondersi, e nemmeno lucrare sul danno arrecato alla vittima e a tutte le altre persone coinvolte: lo scopo era semplicemente porre fine ad una esistenza.
Mentre lo scrivo mi viene la pelle d’oca, perché cerco di immedesimarmi nella mente folle e fragile di un uomo che arrivi al punto di uccidere una persona, la propria partner, spesso la madre dei suoi figli. In molti casi perfino i figli sono stati vittime dello stesso uomo.
Io credo che serva un esplicito e diffuso pensiero sul femminicidio, che si insinui nella società e permetta di aumentare la consapevolezza delle persone nella violenza di genere presente in molte comunità. Un diverso modo di pensare alle donne e al loro ruolo nella società deve permeare la cultura e le istituzioni in modo più massiccio.
Sono una persona molto pratica e non voglio darti idee generiche, ma spiegarti cosa si può e si deve fare concretamente per invertire la rotta in tutte quelle società che necessitano di crescere dal punto di vista civile. Perciò voglio darti un’idea su quali possono essere le caratteristiche di questo pensiero consapevole e come si possa intraprendere una possibile strada utile ad assumerlo.
In questo interessante post c’è un insieme molto snello ed efficace di esempi su come si può fronteggiare il fenomeno della violenza di genere attraverso piccoli e semplici accorgimenti.
Il punto di partenza di azioni di contrasto si basa su due principi: a) la prevenzione della violenza di genere inizia con i bambini; b) la violenza contro di genere deriva da convinzioni e atteggiamenti irrispettosi e sessisti. Ti potrà forse sembrare una cosa scontata, ma questa è l’essenza del problema del femminicidio ed è su questo che bisogna lavorare per costruire un pensiero in contrasto con la violenza. Quindi la cosa più semplice e logica da fare è la seguente:
È dai bambini che bisogna iniziare, perché è più facile crescere una persona nella cultura del rispetto a partire dalla nascita, anziché cambiare una mentalità malata e ben radicata nella testa di un adulto. Naturalmente raccoglieremo i frutti di questo lavoro appena fra vent’anni, ma lo possiamo fare fin da ora; e, come dice quel vecchio adagio, è meglio accendere una piccola fiamma che maledire l’oscurità.
A partire da questo, per contrastare il fenomeno del femminicidio, è necessario un approccio globale, che prenda in considerazione tutte le sfaccettature del problema. Ciò include l’educazione sulla parità di genere, la promozione di leggi e politiche pubbliche che proteggano le donne dalla violenza, la formazione degli operatori della giustizia e dei servizi sociali, la creazione di centri di assistenza per le vittime, e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla gravità del fenomeno.
Suppongo che tu ti stia chiedendo: «Sì, d’accordo, ma questo richiede tempo; sapresti suggerirmi qualcosa di più immediato?» Se così fosse, ti rispondo subito.
Adesso ti dirò cosa bisogna fare per contrastare la violenza di genere e il femminicidio. La prevenzione richiede indubbiamente un impegno a livello culturale e sociale per promuovere il rispetto dei diritti delle donne e per combattere la discriminazione di genere già nelle prime fasi di vita del bambino.
Il primo luogo nel quale realizzare azioni di prevenzione sarebbe la famiglia, ma molto spesso è proprio lì che si diffondono atteggiamenti irrispettosi. Inoltre, sulle famiglie si può agire indirettamente, mediante corsi di formazione, convegni, laboratori di buone pratiche; e non sempre loro accettano di essere coinvolte.
Esiste però un altro luogo nel quale perpetuare in modo semplice ed immediato comportamenti basati sulla tolleranza e il rispetto di genere; è l’insieme dei servizi scolastici ed educativi, in particolare quelli rivolti alla fascia 0-6 anni.
Non a caso l’ONU ammonisce di insegnare alla prossima generazione e di imparare da essa, poiché “gli esempi che diamo alle giovani generazioni modellano il modo in cui pensano al genere, al rispetto e ai diritti umani”. La prossima generazione va preparata sin da subito, fino dalle prime interazioni infantili, le quali, al di fuori della famiglia, avvengono nei sevizi come il nido d’infanzia e la scuola dell’infanzia.
Il nido e la scuola dell’infanzia sono gli avamposti nella lotta alla violenza di genere; infatti, quei luoghi sono le sedi in cui si possono facilitare due aspetti strategici:
Purtroppo, il rapporto con le famiglie viene spesso gestito senza un’attenzione specifica da parte degli operatori verso queste esigenze. Invece basterebbe orientare i loro interventi verso modelli di relazione utili a sensibilizzare le famiglie verso l’importanza del rispetto di genere.
Non è necessario investire grandi risorse, è sufficiente attivare dei progetti che consentano di diffondere delle buone pratiche tramite le normali interazioni quotidiane con le famiglie. La cosa importante è sfruttare questa enorme opportunità di interazione tra scuola e famiglia, per trasmettere in modo mirato messaggi e comportamenti di rispetto di genere.
Naturalmente lo stesso si può e si deve fare in tutti gli altri gradi di istruzione, così come in tutte le sedi istituzionali coinvolte nella prevenzione del femminicidio; e ciò va fatto attraverso una continuità progettuale. Però nessun altro servizio è così cruciale come lo sono i servizi per la fascia 0-6 anni.
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